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Facendo seguito al webinar che si è tenuto nella giornata del 26 novembre 2021 in materia di profili fiscali dell’amministrazione di sostegno, riassumo brevemente la questione della rilevanza fiscale dell’equa indennità corrisposta all’avvocato-amministratore.
Premesso che l’attività dell’amministratore di sostegno si presume prestata con animo di gratuità, e che l’eventuale indennità, se liquidata, è determinata in base ad un parametro equitativo (art. 379, cod. civ.), v’è da dire che molti tribunali hanno siglato, con i rispettivi Ordini degli avvocati, appositi protocolli per la “liquidazione dell’equa indennità” in base a diversi parametri, tra cui il patrimonio liquido del beneficiario (determinando, quindi, la liquidazione dell’indennità in base ad una sorta di “scaglioni” di valore).
Sul punto, ricordo che era intervenuta la Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate del 9 gennaio 2012, n. 2/E, per la quale “se il giudice tutelare sceglie direttamente un avvocato quale amministratore, la relativa indennità, anche se determinata in via equitativa e su base forfetaria, rappresenta comunque un compenso per lo svolgimento di un’attività professionale e, a tal fine, va tassato sia ai fini Irpef che assoggettato ad Iva”.
Lo spazio qui a disposizione non consente di vedere tutte le critiche che sono e che vennero mosse nei confronti della presa di posizione dell’Amministrazione finanziaria, tra cui l’apparente contrasto della stessa con l’ordinanza della Corte costituzionale n. 1073/1998. In ogni caso, quello che preme rilevare è che in molti hanno ritenuto che la mentovata Risoluzione non abbia colto nel segno ed anzi che si sia posta in evidente contrasto, tra l’altro, col principio costituzionale di uguaglianza.
La materia si è ulteriormente complicata, per così dire, con la sentenza Cass. civ., Sez. V., 13 luglio 2020, n, 14846, la quale ha stabilito che l’indennità in commento non avrebbe natura retributiva, cioè “non è chiamata a rispondere a funzione di corrispettivo, ossia di effettivo controvalore del servizio fornito”, bensì avrebbe semplicemente “natura di semplice ristoro, ancorché apprezzabile e non meramente simbolico, con finalità di compensazione degli oneri e delle spese non facilmente documentabili”.
Pertanto, secondo la S.C., nessuna rilevanza fiscale va attribuita all’equa indennità dell’amministratore di sostegno se non nei casi in cui l’attività di gestione del patrimonio del beneficiario risulti in concreto volta a ricavare introiti con carattere di stabilità o, comunque, espletata da un professionista a titolo oneroso, ossia per la produzione di un reddito.
Conclude il quadro di riferimento, poi, la recente sentenza della Corte di Giustizia (causa C-846/19 del 2021), secondo la quale la prestazione resa da un avvocato che eserciti l’attività (similare a quella di) amministratore di sostegno deve essere assoggetta ad Iva perché trattasi di attività economica, resa a titolo oneroso e perché non può essere considerata attività esente ai sensi dell’art. 132, par. 1, lett. g), Dir. 2006/112.
E quindi? Si tassa o no l’equa indennità che percepisce l’avvocato nell’espletamento dell’attività di amministratore di sostegno?
Dal punto di vista dell’Irpef credo che la risposta possa essere una sola: sì.
Iniziamo dall’asserita natura non remunerativa dell’equa indennità, la quale potrebbe valere, da sola, ad escludere la natura reddituale delle poste in commento. L’indennità, si dice, ha funzione di ristoro, di indennizzo delle spese non facilmente documentabili sostenute dall’amministratore e va a reintegrare, se del caso, “il tempo dedicato” a tale incarico, tempo che non è stato utilizzato per esercitare altre attività, eventualmente anche remunerate.
Le argomentazioni, a mio avviso, non sono condivisibili.
Premesso che uno dei tratti caratteristici del reddito di lavoro autonomo è l’abitualità dell’attività generatrice del reddito, va ricordato che la mancanza di tale requisito, però, non è in grado, di per sé, di escludere la natura reddituale dell’indennità, perché nell’ordinamento sono tassabili anche i redditi diversi derivanti da attività occasionale di lavoro autonomo. Così come rientrano, tra i redditi diversi, quelli derivanti dall’assunzione di obblighi, tra l’altro, di fare.
L’argomentazione relativa alla natura di “ristoro” delle spese sostenute dall’amministratore non risulta dirimente: alle spese per la cura del beneficiario si provvede con il patrimonio di quest’ultimo; inoltre, l’avvocato-amministratore sembra avere pochi spazi in materia di “spese non facilmente documentabili”, visti gli stringenti obblighi di rendiconto che incombono sul suo ufficio di amministratore di sostegno.
Non ci dimentichiamo, poi, che nell’ordinamento è prevista la regola della tassazione dei proventi conseguiti in sostituzione di altri redditi e delle indennità conseguite a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi.
Sul punto, l’argomentazione più forte a sostegno della non tassabilità dell’indennità mi pare essere quella di D. Stevanato in “Indennità costruite «ex lege» come meri rimborsi spese: il caso degli amministratori di sostegno” in Dialoghi Tributari, n. 1, 1° gennaio 2012, p. 57, secondo cui sarebbe necessario, per l’operare della “sostituzione dei redditi”, che “i redditi sostituiti o perduti siano già «giunti a maturazione», cioè che si tratti di situazioni concrete, al punto tale da rilevare giuridicamente costituendo titolo per una pretesa a carattere obbligatorio, e non già di mere aspettative e speranze legate a future attività profittevoli cui il soggetto avrebbe auspicabilmente potuto attendere laddove non fosse stato impegnato nel sostegno dell'amministrato”.
L’argomento, in linea generale sicuramente condivisibile, non tiene conto, forse anche per il momento in cui è stato formulato (2012) delle prassi che sono intervenute in molti tribunali nazionali di riconoscimento dell’indennità in base a parametri ben precisi e, sicuramente, certi, concreti ed affidabili.
Alla luce di ciò, pertanto, anche tale argomentazione non risulta in grado di sottrarre a tassazione ai fini Irpef l’equa indennità percepita dall’avvocato-amministratore.
Ai fini Iva, la questione risulta un poco più complessa ma, comunque, risolvibile in base ad argomentazioni similari rispetto a quelle spese in materia di reddito.
Il caso analizzato dalla Corte di Giustizia- che era relativo ad un avvocato lussemburghese che esercitava, a quanto pare come attività se non principale quanto meno assai rilevante, la rappresentanza legale di maggiorenni in condizioni di minorata capacità, agendo su incarico dell’Autorità giudiziaria quale mandatario, curatore e amministratore tutelare, vedendosi assegnato un “compenso” che la legge pone a carico o dell’assistito o dello Stato, a seconda che il primo sia in grado o meno di sopportarne il peso- ci offre la possibilità di vedere come il ruolo di amministratore di sostegno (in senso generale) stia sempre più diventando “professionalizzato”, anche a causa della difficoltà degli adempimenti (tra l’altro) fiscali che l’amministratore è chiamato a fronteggiare.
Assistiamo sempre più, dunque, alla nascita di una nuova figura professionale all’interno del mondo dell’avvocatura, che richiede non solo un certo impegno ma anche un certo grado di specializzazione e di conoscenza dell’istituto.
Orbene, in questi casi, secondo la Corte di Giustizia, siamo di fronte ad attività economiche consistenti in prestazioni rese a titolo oneroso che, in linea generale, potrebbero essere considerate esenti perché rese nell’ambito dell’assistenza sociale ma che, in realtà, quando sono svolte in connessione alle competenze specifiche di un avvocato, non rientrano nel concetto di esenzione anche se prestate nell’ambito di un aiuto fornito a persone legalmente incapaci.
In buona sostanza, quindi, in questi casi, secondo la giurisprudenza richiamata, le prestazioni in esame vanno assoggettate ad Iva.
Diverso sarà il caso, come anticipato, di prestazione meramente occasionale, potendo essere in questi casi diversa la rilevanza ai fini Irpef rispetto all’Iva.
Concludo questa breve relazione con un cenno al principio di uguaglianza e alla sua asserita violazione da parte dell’impostazione sopra tratteggiata. Va premesso che tale principio costituzionale prevede, in estrema sintesi, di trattare in modo uguale fattispecie uguali ed in modo diverso fattispecie diverse.
Va da sé che la posizione di un avvocato titolare di reddito di lavoro autonomo è diversa dalla posizione del parente del beneficiario-amministrato che, per contro, non svolge tale tipo di attività. Mi domando, allora, se il principio di uguaglianza non sarebbe violato qualora l’avvocato “Tizio” dovesse assoggettare a tassazione i suoi compensi derivanti dall’attività “ordinaria” mentre l’avvocato “Caio” no perché percipiente “eque indennità” derivanti dall’attività di amministratore di sostegno.
La risposta, come mi pare evidente, in questo caso sarebbe positiva e, pertanto, credo che l’assoggettamento ad Irpef dell’equa indennità percepita dall’avvocato-amministratore di sostegno, liquidata in base a parametri predeterminati in base ad un protocollo siglato col Tribunale di competenza, non violi il principio di uguaglianza in relazione all’indennità che può essere riconosciuta al parente del beneficiario non titolare di reddito di lavoro autonomo, anche perché quest’ultimo, in relazione alle attività che pone in essere in favore del soggetto destinatario della misura, non porterà in deduzione dalla sua base imponibile Irpef i costi sostenuti nell’espletamento della funzione. Per quanto riguarda l’Iva, valgono analoghe considerazioni nella misura in cui la prestazione venga svolta con carattere di abitualità e consenta all’avvocato di poter contare su un’entrata di natura certa e stabile.
Lucca, lì 26 novembre 2021
Jacopo Lorenzi
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